Un viaggio tra i sensi, le emozioni e la storia
Le gocce di rugiada sui filari, le prime foglie di primavera ondulate dal soffio del maestrale, il calore del sole che si irradia sulla vite che ricomincia a germogliare con vigore. Siamo in Sardegna, una terra dove la viticoltura ha origini antichissime. Dove ogni anno il ciclo della vita si rinnova proprio a partire dalle vigne.
Perché gli abitanti della Sardegna sono un popolo tenace, radicato alla propria terra da migliaia di anni. Proprio come la vite è in grado di affondare le proprie radici metri e metri sottoterra per non dipendere dall’acqua che forse arriverà dal cielo, così i sardi sono un popolo che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno, che non rinuncia alla propria autonomia.
Vini sardi: una storia di domesticazione millenaria
Quando si porta al naso, sul palato ed infine in gola un autentico vino sardo si ha la sensazione di trovarsi di fronte al calore, alla complessità che sta dentro una singola persona, anzi, ad un’intera famiglia di persone. Ed in qualche modo è proprio così. I vini sardi parlano di un sapere tramandato di generazione in generazione, di un gusto che prende forma stagione dopo stagione.
Come i padri si rispecchiano nei figli e le vicende umane migliorano e si trasformano di generazione in generazione, così il tempo non passa invano nelle botti dove il Cannonau affina e trova la sua massima espressione. Questa è la Sardegna più autentica, la Sardegna del vino.
Portare al naso e sul palato questo nettare significa intraprendere un viaggio alla scoperta del genius loci di una terra unica – un’isola che è stata culla del Mediterraneo. Qui infatti è sorta la civiltà nuragica, un unicum a livello di cultura e tecnica sviluppatasi già a partire dai primi millenni avanti Cristo.
La Sardegna e il vino: un legame forte e antico
Recenti studi su reperti archeologici in alcune località nuragiche supportano l’affascinante tesi della presenza di attività enologica già in quei tempi lontani. Si parla infatti di vino risalente ad almeno 3.500 anni fa! Nel 2016 infatti nelle vicinanze di Cagliari nel villaggio nuragico di Monte Zara, vicino a Monastir, è stato scoperto il torchio da pigiatura di uve più antico dell’intera area del Mediterraneo. Un team composto da esperti di archeobotanica è persino riuscito a ricostruire il colore della buccia del vitigno: si trattava di uve a bacca rosse, a testimonianza che già questi proto-sardi non solo conoscevano il netare degli Dei, ma bevevano vino rosso.
Inoltre nel grande complesso del nuraghe Arrubiu di Orroli (Cagliari) sono state rinvenuti spazi adibiti a laboratori di vinificazione risalenti al periodo II-IV secolo a.C. Questo sito, dotato di vasche per la pigiatura dell’uva, tini per l’affinamento, basi per torchi e contenitori vari, è testimonianza di una tecnica di vinificazione avanzata. Ma la scoperta più interessante è sicuramente quella dei numerosi vinaccioli (i semi dell’uva) rinvenuti negli strati inferiori del nuraghe, a testimonianza che questa ‘cantina’ esisteva già parecchi secoli prima.
Certo è che, al di là delle evidenze archeologiche che potrebbero spingere la storia del vino in Sardegna anche ad un’origine persino più remota, la tradizione vinaria sarda si è strutturata con una tecnica a partire dell’età del Bronzo medio. Tuttavia, la presenza della vitis vinifera sylvestris (la vite selvatica), suggerisce una domesticazione e una tradizione enologica ancora più antica.
Oggi che la Sardegna si presenta per la sua grande vocazione turistica, i vitigni sardi, sia quelli autoctoni che quelli importati, che nei secoli si sono perfettamente armonizzati con il terroir locale, rappresentano una straordinaria ricchezza e un’identità ancestrale. Perché la terra sarda è una terra dove la biodiversità è ancora altissima e l’antropizzazione, per fortuna, limitata ad alcune aree.
Ne sanno qualcosa i nostri amici di Tenuta Olianas, un avamposto di cultura vinicola nel Sarcidano, ad un’ora di distanza in auto da Cagliari. Olianas è un piccolo paradiso di biodiversità compreso nel territorio di Gergei, vicino a luoghi dall’immenso valore naturalistico come la Piana delle Giare, con i suoi cavallini, ed archeologico, come il villaggio nuragico di Brumini, conla sua torre centrale alta 18 metri.
Tenuta Olianas: un viaggio a ritroso nel tempo
Il nostro piccolo viaggio alla scoperta dell’origine preistorica del vino in Sardegna non porteva non fare tappa a Gergei. Guidati dai sensi, è più facile forse scoprire il territorio. Attraverso le produzioni vinicole d’eccellenza, abbinate a specifici percorsi enogastronomici nella tradizione culinaria sarda, è possibile fare conoscenza di un territorio in modo semplice e diretto.
Perché qui fare vino è ancora una questione di rapporto tra la natura e l’uomo – relazione di rispetto, di attesa e di innamoramento. I vitigni vivono a stretto contatto con l’elemento naturale: il vento che spira sulle piane e porta aria salmastra, il profumo delle erbe della macchia mediterranea, l’immobile forza delle sugherete, boschi antichissimi di querce che da sempre hanno trovato in terra sarda il loro habitat preferito.
Tutto questo portato di informazioni sensoriali è possibile rintracciarlo in un vino? Secondo noi ci si può provare, cominciando magari la degustazione dal Cannonau Riserva di Olianas. Un vino dal colore rosso rubino, con note di mirto e cacao. Potente, caldo, avvolgente, con tannini importanti e rotondi e un finale lunghissimo. Un vino che migliora col tempo ed è in grado di trasformare le degustazioni in esperienze interessanti e coinvolgenti, esperienze di vino oltre il vino.
Oppure, per chi si vuole spingere ancora oltre e degustare un prodotto con persino maggior affinamento, ecco il Cannonau Le Anfore di Elena Casadei. Frutto di un importantissimo lavoro sul banco di cernita, il Cannonau della lina le Anfore è la massima espressione di Tenuta Olianas. Grazie al recupero di questa antichissima tecnica di vinificazione, le caratteristiche intrinseche dell’uva e del terroir vengono esaltate. Senza lasciar spazio a contraffazioni o miglioramenti che sviano dalla vera natura del vitigno.
Il fascino della domesticazione in terra sarda
Cos’è poi la domesticazione di un vegetale se non un continuo rapporto di ‘dare e avere’ tra l’essere vegetale e l’essere umano? Una profonda relazione estesa nel tempo, nel corso dei millenni. Una magia che ha molte similitudini anche con i processi di addomesticamento degli animali.
Ecco, ora che abbiamo in gola un sorso di Cannonau, uno dei vini sardi più iconici, possiamo capire meglio l’importanza del ruolo della Sardegna nella domesticazione della vite selvatica. All’addomesticamento della vite selvatica si dedicarono i vari popoli che qui si succedettero. I semiti, i cretesi, i punici, i greci, i fenici ed altri che, giunti sull’isola nel corso dei secoli, introdussero pratiche agronomiche ancora sconosciute.
Ma d’altronde non deve stupirci che la vite abbia qui trovato un suo sviluppo specifico. Protetta dall’isola ancor prima che dall’uomo. Proprio perché il vigneto si integra perfettamente nel paesaggio dell’isola. Lo si può trovare quasi ovunque, dalle pianure più fertili del mare, dalle dune ai colli e persino nell’entroterra, dove la coltivazione della vite è spesso ancora magicamente legata ad antiche tradizioni.
La vite e il vino hanno sempre avuto un ruolo importante nell’economia agricola sarda. La particolare natura orografica di questa regione, dove le grandi pianure non esistono, favorisce una viticoltura di moderata intensità e una produzione vinicola di alta qualità che raggiunge spesso l’eccellenza.
Vitis vinifera, come d’altronde l’olivo in Sardegna, è una pianta autoctona e selvatica qui. Tanto che le popolazioni che vennero a stabilirsi nell’isola non portarono né il ceppo né il germoglio. Ma l’arte dell’innesto, la coltivazione e le tecniche di produzione e di produzione e conservazione del vino.