Che siate atei o credenti, vegetariani od onnivori, tutti condividiamo un medesimo comandamento: non sprecare. Trattandosi però di un precetto non scritto, a volte ce ne dimentichiamo. Attratti dallo scintillare dei prodotti sui banchi del supermercato stipiamo borse e carrelli della spesa in nome dell’ultima offerta super stracciata, in nome della prossima malattia o della prossima guerra annunciata in mondovisione che ci segregherà in casa.
Carni, formaggi, pesce, frutta e e verdura sono prodotti freschi, che andrebbero comprati per essere consumati subito. Come ripetono spesso Fede e Tinto di Decanter (h 20 Rai Radio 2) il frigo è l’anticamera della spazzatura, perché contiene una flora batterica capace di degradare rapidamente sapori, profumi e proprietà organolettiche.
A livello globale, una percentuale compresa fra il 30% ed il 50% dell’intera produzione alimentare viene perso o sprecato. Anche il nostro paese non è da meno. Immemore della tradizione contadina che non butta via mai niente, si è lasciato contagiare dalla spirale del consumismo e dello spreco. Secondo l’ultima ricerca condotta dal professor Andrea Segrè del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna ciascun italiano getta direttamente nel ‘rusco’ 4 euro di cibo a settimana, cioè quasi 200 euro l’anno, che equivalgono nel complesso a 10 miliardi di euro polverizzati (e si tratta di stime al ribasso). Al contrario, nell’Africa sub-sahariana e in Asia meridionale, lo spreco alimentare domestico è compreso fra i 12 ed i 20 euro a persona all’anno.
Segrè ha dato vita al Last Minute Market, per il recupero del cibo in prossimità della scadenza ed è l’artefice di diverse iniziative e campagne che sensibilizzano in questa direzione. A questo proposito negli ultimi mesi si guarda con attenzione ad un progetto appena partito in Germania.
Si chiama Foodsharing ed una piattaforma per ricevere ed offrire gratuitamente le eccedenze alimentari. Come funziona? Attraverso l’omonimo sito internet (che funziona un po’ come un social network) persone comuni, commercianti, piccoli o grandi produttori mettono in condivisione il cibo che hanno in eccesso e che prevedono di non riuscire a consumare entro la data di scadenza.
Foodsharing non poteva che nascere a Berlino, la città dove si arredano case e locali con mobilia di recupero, la città che anche gli ultimi (clochard e poveri) si impegnano a tenere pulita, riciclando plastica e vetro per ottenere in cambio un po’ di spiccioli.
Qui però non si tratta di povertà, ma di sensibilità. Condividere, riutilizzare, è dire no ai rifiuti, facendo dell’alimentazione il primo atto politico della propria esistenza. Il foodsharing è quindi prima di tutto un movimento di idee e di persone, che ha portato nell’immediato alla costruzione di una rete nelle città di Colonia e Berlino. Chi ha del cibo da offrire lo divide in panieri (porzioni) e lo mette in condivisione. Gli utenti online possono cercare alimenti nelle loro vicinanze tramite la geolocalizzazione e decidere quindi dove fare la spesa a gratis.
Per chi non ha internet ci sono degli hotspot a libero accesso, come quello del mercato coperto a Kreuzberg, dove il cibo può essere raccolto in forma anonima.
Lo spreco non riguarda soltanto la nostra sfera domestica e cittadina. Se cominciamo a capire che meno rifiuti significa meno spreco di risorse nei paesi produttori e minori pressioni al rialzo sui prezzi con maggiore disponibilità di merci, potremo intravedere quali sono le risorse incorporate nella produzione di ciascun prodotto e quindi quale è il costo per l’ambiente a livello energetico di inquinamento.
Interessante iniziativa anche se la vedo poco praticabile nei Piccoli centri…sarebbe forse ottimo Un sistema centralizzato di raccolta