Dieta vegetariana non è panacea per tutti i mali.
Studio della Cornell University rivela correlazioni con malattie al cuore e tumori
Siamo tutti vegetariani, o no?
Lo scorso autunno 2015 l’OMS, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, aveva inserito salsicce, insaccati, salumi e carni rosse nella lista degli alimenti a rischio, potenzialmente cancerogeni. Le dichiarazioni dell’OMS e di parte della comunità scientifica, molto spesso travisate e scarsamente contestualizzate, avevano provocato fra i consumatori non poco allarmismo. In pochi giorni i consumi di carne avevano subito una brusca flessione. Anche in Italia, come nel resto del mondo, il numero di vegetariani e vegani è in crescita e dopo la “messa al bando” delle carni rosse, la tendenza alle ‘conversioni’ è in rialzo. Bisogna infatti considerare che, in paesi ritenuti più sensibili come la Germania, la percentuale della popolazione che non mangia carne arrivava nel 2014 all’8% dell’intera popolazione, in Italia ci si fermava poco prima, al 7%. Ma questi dati sono appunto in repentina ascesa per un costante processo di mediatizzazione dei nostri consumi alimentari.
La mutazione del DNA dei vegetariani
Per avere un quadro rappresentativo del genoma di un vegetariano, i ricercatori della Cornell University di New York hanno preso il loro campione all’interno della popolazione di Pune, in India. Qui il vegetarianesimo è tradizione secolare, se non millenaria. Il DNA degli abitanti di Pune è stato messo a confronto con quello di una popolazione a prevalenza carnivora in Kansas. Secondo gli scienziati c’è un’evidente mutazione genetica negli abitanti di Pune, che riescono a “assorbire più facilmente gli acidi grassi essenziali dai vegetali. Questo processo però a sua volta aumenta la produzione di acido arachidonico, un un acido grasso poli-insaturo, ritenuto responsabile dell’insorgenza dell’infiammazione e del cancro”. Questa mutazione genetica (che ha il nome in codice di “rs66698963”) ha colto circa il 70% degli abitanti di Pune sottoposti ad analisi, contro appena il 20% degli abitanti del Kansas nel campione. Il gene mutatoinoltre impedisce al nostro organismo di assorbire correttamente acidi grassi omega-3, considerati importanti nello sviluppo del nostro cervello ed utili nella lotta contro il cancro e l’infiammazione.
Il rischio aumenta una volta che il gene modificato incontra una dieta ricca di oli vegetali – come l’olio di semi di girasole – trasformando questi ultimi in acido arachidonico.
Vegetariano non significa ‘naturale’, almeno per l’uomo
La litania che ci sentiamo spesso ‘snocciolare’ da amici e parenti che ci vogliono convincere ad abbandonare il nostro onnivorismo è che “cibarsi di soli vegetali è la cosa più naturale del mondo”. Tutti gli Ominidi (fra cui si contano scimpanzé e uomini) però sono onnivori da sempre, dall’inizio del tempo. Lo ha confermato il team della Cornell University che ha incrociato i propri dati con quelli del Progetto Genoma. Le popolazioni vegetariane dell’India che hanno sviluppato questa variazione dei geni, o allele, si differenziano ad esempio dal ceppo degli europei del Nord, la cui storia alimentare è da sempre legata al consumo di latte. In questo modo gli europei hanno metabolizzato gli acidi grassi senza aver bisogno di aumentare la capacità di sintetizzarli.
Le capacità adattive del genoma umano: in medio stat virtus
Senza voler condannare la dieta vegetariana, i cui benefici sono stati ampiamente esposti anche su queste pagine, lo studio americano afferma che, come esseri umani “siamo in grado di utilizzare queste informazioni genomiche per tentare di adattare la nostra dieta e abbinarla al nostro genoma, questo processo si chiama nutrizione personalizzata“.
Non dobbiamo dunque dimenticarci che mangiare legumi, cereali, frutta e verdura aiuta il nostro organismo nella prevenzione di diabete, ictus e obesità. Essere vegani, vegetariani o onnivori è dunque una scelta personale, che forse non dovrebbe essere imposta anche a bambini piccoli e animali domestici. Certo, rimane anche irrisolta la questione legata all’alimentazione industriale ed al dramma degli allevamenti intensivi, nei quali non c’è rispetto per la vita. Ridurre il consumo di carne industriale, scegliendo di spendere un po’ di più per carni ‘cruelty free’, derivanti da animali allevati localmente in condizioni di vita felice, macellati con amore da professionisti che amano il loro lavoro, può essere il primo passo.
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